E’ una stima realistica quella che il pianeta sia popolato da dieci miliardi di persone nel 2050, ci sarà da mangiare per tutti? La questione mi interessa particolarmente perché, da ottimista quale sono, potrei esserci ancora e certamente all’età che avrò raggiunto non potrò mangiare tutti gli alimenti che mangio ora. Certamente non il torrone! 🙂

Dunque, esclusi gli insetti, cibo che non voglio neppure prendere in considerazione, una dieta maggiormente basata su prodotti vegetali, un miglioramento delle pratiche agricole e una riduzione degli sprechi potrebbero essere la soluzione.

Si pensa che ogni grado in più nel riscaldamento climatico del Pianeta potrebbe portare ad una riduzione dei i raccolti di grano  del 6% e di quelli di riso del 10%, tanto per fare  un esempio. Dobbiamo emettere meno gas serra, ridurre l’uso dei fertilizzanti e il consumo dell’acqua dolce (figuriamoci lo spreco). Le nostre diete dovranno diventare flexitarian, più flessibili e maggiormente a base di prodotti di origine vegetale (dunque anche più sane) perché solo così potremmo contribuire alla riduzione dei gas serra.

A ben vedere i rimedi che ci propone questo articolo di Viola Rita  pubblicato sulla rivista on line “Wired” il giorno 11 ottobre una particina l’acquaponica potrebbe pure averla perché aumentare la resa delle coltivazioni a partire dagli attuali terreni agricoli (ma anche quelli che abbiamo degradato e sui quali ora non possiamo più coltivare) , applicare e riutilizzare (riciclare) i fertilizzanti e migliorare la gestione dell’acqua sono misure che potrebbero, insieme ad altri strumenti, ridurre quasi del 50% l’impatto sull’ambiente dovuto alla produzione di cibo. Il riferimento scientifico per tutte le considerazioni è studio è pubblicato su Nature ed è stato supportato dalla Eat-Lancet Commission on Food e da Planet and Health e dal progetto Our Planet, Our Health della fondazione no-profit Wellcome.

Per migliorare le tecnologie agricole e la gestione delle pratiche di coltivazione è necessario aumentare gli investimenti nella ricerca e nelle infrastrutture pubbliche, come spiega l’autore Line Gordon, direttore esecutivo dello Stockholm Resilience Centre. Ma è necessaria anche una maggiore attenzione lungo tutta la catena alimentare, aggiunge Fabrice de Clerck, direttore scientifico presso Eat, dal trasporto all’imballaggio e anche nell’etichettatura. Senza dimenticare l’educazione e la formazione, anche a livello scolastico, conclude Springmann, insieme a un aggiornamento delle linee guida sull’alimentazione, che mettano in luce anche l’impatto ambientale degli alimenti.

Pensando all’acquaponica non posso non avere in mente impianti che recuperino ampie aree dismesse delle periferie urbane, territori “bruciati” e ora resi liberi dalla deindustrializzazione, attualmente desolante teatro di capannoni vuoti e vicini ai centri abitati, luoghi principali del consumo, che potrebbero accorciare la catena della logistica e tornare produttivi per moltissimi vegetali freschi che arriverebbero velocemente, con basso consumo di CO2 ridotti materiali e spese d’imballaggio sulle tavole tutti i giorni. Questi stessi spazi potrebbero tornare ad essere attori protagonisti di un altro fattore determinante nel cambiamento l’educazione e la formazione, dalle buone prassi all’educazione al consumo, al tempo stesso innovazione tecnologica ed economica e innovazione sociale.

Esperienze in questo senso ce ne sono, alcune molto interessanti e anche noi di “Akuadulza” portiamo il nostro piccolo contributo.

Mario Brignone

Presidente di “Akuadulza”

 

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